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IMPEGNOCARITAS

NEWSLETTER DELLE CARITAS DIOCESANE DELLA SARDEGNA

N. 10, del 10 aprile 2025

“Tu sei la mia speranza” (Sal 71, 5)

Ales-Terralba
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Terralba, presentazione corso OSS

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Terralba, corsiste durante una lezione

Ritrovare la speranza di un futuro migliore

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di Stefania Pusceddu

«Ho pianto tanto nella vita, ma una mamma dopo un po' si asciuga le lacrime e riparte, non si abbatte. Ho convissuto con il dolore ma ho fatto di tutto per non sprofondare», racconta Maria Letizia, 46 anni, 4 figli, che sta crescendo da sola, dopo un matrimonio difficile conclusosi con tanto dolore. Per tanti anni ha sofferto, accumulando ferite nel cuore e impegnandosi al massimo in una relazione complessa, facendosi forza per amore dei figli. Ha avuto il coraggio di una leonessa riuscendo a perdonare e a cucire strappi per tenere un dialogo, mettendo al primo posto la serenità dei figli: «sono stati sempre la luce che rischiarava il buio profondo che attraversavo ogni giorno», spiega Maria Letizia. Negli anni duri sono loro che hanno portato conforto: «mi sono stati sempre vicini come io ho fatto con loro. Si sono impegnati a scuola, nello sport, hanno vissuto esperienze belle in parrocchia, da ministranti». Ha donato tutta sé stessa per dare un futuro ai suoi figli ma per lei non ha riservato nulla: non si è più concessa obbiettivi e nuovi progetti. Eppure un giorno tutto può cambiare. «Sono venuta a conoscenza del corso OSS gestito dall'Agenzia CIOFS, per il quale la Caritas diocesana di Ales-Terralba ha messo a disposizione un importante finanziamento che avrebbe consentito di frequentare il corso, solitamente a pagamento, a chi non poteva permetterselo, per ottenere una qualifica spendibile nel mondo del lavoro. Un sogno troppo grande per me, che da quando avevo 18 anni ho sempre fatto la badante, con orari difficili e tanta precarietà. Con il batticuore ho presentato la domanda, ma senza illudermi troppo. Non mi sono mai capitate buone occasioni e mi sembrava impossibile pensare di superare le selezioni. Eppure, tra tante candidature hanno scelto anche la mia. Rientrando dal colloquio, con le mani ancora tremanti, mi ripetevo: tanto non ho speranza, non può succedere proprio a me. Un bel giorno è arrivata quella mail che ha cambiato la mia vita: annunciava che ero stata inserita nella classe, poi mi hanno chiamata ma ero ancora incredula. Ho pianto, ma stavolta di gioia. Per giorni però ho temuto che mi richiamassero per dire che c'era stato un errore». La Caritas ha dato un'occasione a 15 corsiste che avevano rinunciato a formarsi: «oggi studio e cerco di apprendere il massimo, prendendo tanti appunti. Sono carica, piena di emozioni», confessa Maria Letizia. «Mi sento felice e motivata, vivo con gioia questo momento e, con tanta speranza, ora credo ne seguiranno altri».

Alghero-Bosa
Rostyslav con la moglie, il figlio e la loro cagnolina.jpeg

Rostyslav con la moglie, il figlio e la loro cagnolina

Rostyslav intento a provare il wheelchair tennis durante il Sardinia Open.jpeg

Rostyslav intento a provare il wheelchair tennis
durante il Sardinia Open

Un dono di speranza, la storia di Rostyslav

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di Roberto Fiori

La speranza è un dono, soprattutto quando è fondata sulla certezza che Dio non abbandona i suoi figli. Questa speranza poggia su una promessa che va oltre le circostanze e le difficoltà. È una speranza che, attraversa il dolore e la sofferenza, affonda le radici nelle fede. Rostyslav è un uomo originario dell'Ucraina che ha conosciuto sulla propria pelle quanto sia difficile vivere senza certezze. A motivo della sua disabilità motoria provocata da un incidente è stato esonerato dall'essere arruolato e mandato al fronte. Da quando la guerra in Ucraina ha colpito la sua terra ha sempre avuto la speranza di trovare un posto in cui vivere senza la paura del domani. La sua fede in Dio e il desiderio di una vita migliore per la sua famiglia lo hanno spinto a prendere una decisione coraggiosa. Con la moglie e i due figli ha intrapreso il lungo viaggio in direzione dell'Italia, verso un futuro che sembrava incerto ma che portava con sé una scintilla di speranza. Le difficoltà per una famiglia che fugge dalla guerra sono molte: la paura, la fatica, la solitudine. La speranza lo ha guidato sino ad Alghero, una città che sarebbe diventato per lui e la sua famiglia un rifugio sicuro e un luogo di accoglienza. La famiglia è stata accolta dalla Caritas diocesana, che ha preso a cuore la loro situazione. Tramite un appello del vescovo e la collaborazione della diocesi si è trovato per loro una casa all'interno di una struttura parrocchiale, dove poter vivere in pace e dignità. La comunità locale ha collaborato affinché i figli di Rostyslav potessero frequentare la scuola. Un'azienda si è occupate delle protesi necessarie per la sua disabilità e la moglie ha trovato un lavoro part-time che le ha permesso di contribuire alla stabilità della famiglia. Ma ciò che davvero ha fatto la differenza per Rostyslav è stato l'aiuto della Caritas: un gesto di amore che non chiedeva nulla in cambio, se non la possibilità di restituire speranza a chi l'aveva persa. E così, nella testimonianza di questa accoglienza, ha mostrato a Rostyslav e alla sua famiglia che la speranza non è mai vana e che la fede in Dio può portare alla luce anche in mezzo alle tempeste più buie. La testimonianza della Caritas diocesana riflette l'aiuto dato da un'intera comunità, che la sua vicinanza e la capacità di ascoltare è diventata strumento di speranza e di salvezza. Una salvezza che non è solo materiale ma anche spirituale, perché dà la certezza che, anche nei momenti di dolore, non si è mai soli.

Cagliari
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Isbella insieme al direttore e ad alcuni collaboratori della Caritas di Cagliari

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Il cortile del College Sant'Efisio

Isbella, un viaggio di speranza

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di Alice Brundu

Isbella, 25 anni, è una giovane donna che incarna il coraggio e la determinazione di chi non si arrende alle difficoltà. Originaria del Sud Sudan, all’età di sei anni ha lasciato la sua casa con una valigia piena di sogni e timori trovando rifugio in Kenya. Crescere lontano dal proprio Paese significa imparare presto ad adattarsi, a ricostruire radici ovunque ci sia terreno fertile. Più recentemente, nel novembre del 2023, Isbella ha intrapreso un nuovo viaggio, questa volta verso l’Italia, per frequentare il corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali all’Università di Cagliari, desiderosa di garantire un futuro migliore a lei e al suo bambino. «Essere lontana da lui è la sfida più grande – racconta – ma devo restare forte, andare avanti». Un’opportunità non scontata, resa possibile dal progetto Unicore - Corridoi Umanitari per studenti rifugiati, coordinato dall’UNHCR, l’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati, e da Caritas Italiana. «Quando sono arrivata in Italia mi sembrava di essere in un mondo completamente diverso – racconta – ma la Caritas di Cagliari mi ha aiutato in tutto: documenti, permesso di soggiorno, iscrizione sanitaria». L’iniziativa si inserisce nell’impegno che la Chiesa di Cagliari pone sull’accoglienza e sull’integrazione, garantendo la possibilità di arrivare in Italia attraverso vie sicure. Un ruolo importante è svolto dal College Universitario Sant’Efisio, che ospita i ragazzi del progetto e che ha permesso a Isbella di trovare una rete umana che l’ha aiutata a superare la solitudine e sentirsi parte di una grande famiglia. Questa sinergia è segno di una Chiesa attiva, capace di abitare il presente e che, nell’incontro con l’altro, trova un’occasione di dialogo e arricchimento reciproco. Oggi Isbella frequenta il secondo anno di Università e nel frattempo sta lavorando per l’istituzione di un’organizzazione “Wings for Dignity” per aiutare altre ragazze a proseguire gli studi (iniziando con la distribuzione di prodotti per l’igiene femminile), contrastando l’assenteismo scolastico e aumentando il numero di giovani che completano gli studi. Isbella è testimone di una speranza che non si ferma davanti alle difficoltà ma si nutre della certezza che Dio è sempre accanto, anche nei momenti di solitudine e smarrimento. «Ogni giorno è un passo più vicino alla realizzazione del mio sogno. So che Dio è con me, che mi guida e mi dà la forza di andare avanti, anche quando tutto sembra impossibile. La mia speranza è radicata in Lui».

Iglesias
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Angelo, Fabio e Federico durante il loro servizio al Centro di ascolto

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Sala d’attesa del Centro di ascolto

La speranza vista con gli occhi dei giovani

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di Ilaria Perduca

Angelo, Fabio e Federico hanno iniziato il loro anno di Servizio civile presso il Centro di ascolto “Marta e Maria” della Caritas diocesana di Iglesias il 28 maggio 2024. A circa sessanta giorni dalla conclusione di questo anno di servizio dedicato agli altri, sono tante le storie ascoltate che hanno riempito le loro giornate. Sofferenze, dolori, ingiustizie; ma esiste anche la speranza, che certamente non illude e che rafforza nella convinzione di continuare a perseverare nel bene. «Sono due le vicende che mi hanno colpito di più in questi mesi», inizia il racconto Angelo. «La prima, la storia di Sabrina che ci ha chiesto aiuto per sua nipote Isabela (nomi di fantasia), che vive all’estero, gravemente malata e in condizioni di forte disagio. Mi ha toccato profondamente vedere questa zia che non chiedeva niente per sé ma tutto per questa nipotina lontana e mi ha rincuorato e dato speranza come una sola persona può fare la differenza per cambiare in meglio la vita degli altri. La seconda storia riguarda Elenka e Daniel (nomi di fantasia), arrivati al Centro di ascolto per un problema di affitto, ma i cui racconti hanno fatto emergere un mondo pieno di difficoltà. Daniel ammetteva di aver fatto tanti errori nella vita ma Elenka lo incoraggiava, lo spronava, dimostrando un amore più grande di qualsiasi errore. Conoscere la loro vicenda è stato per me di grande esempio». Anche Federico ci racconta la sua esperienza: «la mia storia riguarda due ragazzi, Adil e Omar, che dal nulla sono riusciti a costruire un’attività imprenditoriale. Oggi sono loro di aiuto, anche per noi; in particolare per comunicare con gli stranieri. Dimostrano quanto sia importante non fare della propria sofferenza un mantello, ma restituire il bene ricevuto». Conclude i racconti Fabio, che testimonia il suo cambiamento personale come simbolo di speranza: «sono tante le vicende che ho ascoltato in questi mesi e davvero non saprei scegliere quale mi ha colpito di più. Una cosa è certa, il Servizio civile è stato per me di aiuto e sostegno in un periodo non semplice della mia vita. Mi ha dato l’opportunità di essere utile alla comunità, di vedere la vita e chi mi circonda con una più profonda consapevolezza». Dal 28 maggio 2025 per Angelo, Fabio e Federico, si apriranno altri capitoli della loro vita personale. A loro l’augurio di rimanere lieti nella speranza.

Lanusei
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Rosa incontra i bambini di Baunei insieme
alla direttrice della Caritas

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Un momento di incontro alla Caritas con i bambini

La speranza, dono da custodire

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di Augusta Cabras

Rosa Moro è una giovane volontaria della Caritas di Lanusei. La voce, mentre racconta la sua esperienza, è decisa e dolce, ricca di sfumature che raccontano pezzi di vita vissuta, in cui riconosce sempre la Grazia straordinaria di Dio. Rosa è settima di tredici figli, di cui dieci viventi. Questo elemento non è solo un dettaglio anagrafico ma ha certamente determinato il suo modo di guardare la vita, le relazioni e il suo essere cristiana nel tempo attuale. «Quello che avviene nella famiglia, dove siamo l’uno diverso dall’altro, nonostante la stessa origine e la medesima impronta educativa, avviene nelle comunità, nelle Caritas, nelle parrocchie. Ed è nella diversità che possiamo scoprire e riconoscere il nostro essere figli di Dio. Il Signore agisce nelle relazioni, nelle nostre contraddizioni, nelle prove. È lì la bellezza e la speranza che dobbiamo custodire come un dono». E questo per Rosa è ancora più chiaro quando si trova in Caritas, quando accoglie e ascolta le persone che soffrono, che chiedono aiuto, che timidamente raccontano la propria storia. «Alla Caritas arrivano tante persone che chiedono di essere aiutate materialmente. È la prima cosa che chiedono ed è forse la difficoltà più evidente e immediata. Ma si percepisce che c’è una sofferenza più profonda, una mancanza d’amore, la solitudine, la rassegnazione. Questo succede in particolare con gli adulti. I bambini invece, anche quando sono in difficoltà sono più spontanei, diretti, semplici, puri. Sono la dimostrazione che la speranza non muore mai. E io guardo ai bambini, come testimoni privilegiati dell’amore e della misericordia di Dio. Gesù non abbandona nessuno; pensiamo a tutti i peccatori raccontati nel Vangelo. Per ciascuno di loro Gesù ha uno sguardo d’amore, di compassione e di misericordia. Se non guardassimo a Lui, il nostro agire in Caritas sarebbe inutile. Noi portiamo ai nostri fratelli sofferenti Gesù che è medico e maestro, Lui tutto guarisce e tutto sa». Gli appigli, nel percorso di fede di questa giovane volontaria e catechista, sono proprio Gesù, Maria «esempio di umiltà» e Giuseppe «esempio di fiducia e affidamento». Nella Caritas, dice Rosa Moro, avviene l’incontro reale con Gesù; non serve essere dotti, non serve sapere, serve chiedere al Signore la fede e la speranza; la carità è l’atto concreto. «Gustare il Vangelo è un miracolo. Vederlo scoprire dai bambini che vengono a trovarci in Caritas, con gioia e spontaneità, è segno che sono loro i portatori veri di speranza».

Nuoro

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Vincenzo e la sua vita nuova

Una vita nuova

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a cura della Caritas diocesana di Nuoro

Vincenzo è venuto al mondo 60 anni fa ma è nato per la seconda volta quando ha varcato l’uscita del carcere, saldando il suo debito con la giustizia. La sua lunga esperienza detentiva gli permette di esprimere pareri appropriati e offrire utili consigli su quello che il mondo del carcere dovrebbe essere. «Purtroppo è una realtà dimenticata da tutti – dice convinto – invece c’è bisogno che la società varchi le mura dei penitenziari e abbatta pregiudizi e verità distorte». Vincenzo parla di una vera e propria scuola della delinquenza, in un circuito perverso. Se invece il carcere si apre, al di fuori ci sono energie e potenzialità che possono generare percorsi virtuosi: la scuola, l’università, la Chiesa, il volontariato, la società civile. «Io ho incontrato degli “Angeli” – racconta Vincenzo – e la mia esperienza in Caritas è stata la mia fortuna». Qui ha trovato un luogo accogliente, fuori dai falsi preconcetti, dove è stato trattato non come un ospite ma come un figlio. E qui la sua fede è cresciuta e ha trovato il riscontro con la Chiesa. «Caritas è Chiesa – confida –. Dovrebbero esserci altre 100 Caritas». Le opportunità positive che ha saputo cogliere gli hanno permesso di avere un percorso più agevolato: l’informatica, il teatro, la biblioteca. Ma la svolta è avvenuta con la frequenza dell’Università. Questo gli ha permesso di vivere una maturazione umana che, attraverso un travaglio impegnativo, lo ha trasformato da detenuto a cittadino. «Ho potuto scoprire valori nuovi – precisa Vincenzo –, diversi da quelli che avevo conosciuto fino ad allora». Lui che è entrato per la prima volta in una cella a soli 14 anni, ritiene che in carcere debbano esserci molti più educatori, psicologi, esperti e specialisti che curino soprattutto il trattamento, attraverso progetti mirati. Il che significa non solo detenzione e sicurezza ma anche riabilitazione verso una vita nuova. E lui, ora, questa nuova dimensione la sta vivendo da uomo libero, anche grazie alla moglie, che in questi lunghi anni lo ha saputo affiancare, e il figlio. Appena ne parla gli occhi di Vincenzo si inumidiscono e la voce si spezza fra la commozione e lo sguardo verso un futuro più dolce, ricco di speranza.

Oristano
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Anna, durante il suo servizio in Caritas

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Un'immagine della cattedrale di Oristano

Luce di speranza

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di Michela Camedda

Anna ha sempre sentito dentro di sé il desiderio di mettersi al servizio degli altri. Dopo una vita da farmacista avrebbe potuto godersi la pensione, ma qualcosa la spingeva ad agire. «Ho sempre l'impressione che sia una questione di egoismo», racconta con un sorriso. «Aiutare gli altri mi fa stare bene. Forse lo faccio più per me che per loro». La sua esperienza di volontariato è iniziata quasi per caso: un viaggio a Lourdes con l'Unitalsi, intrapreso solo per accompagnare sua madre, si è trasformato in un impegno costante. «Non volevo perdere dieci giorni di ferie per andare a Lourdes», ammette, «e invece non me ne sono più allontanata». Lo stesso è accaduto in Caritas, dove ha iniziato a prestare servizio nel periodo del  Covid. «All'inizio distribuivo viveri. Non volevo farmi vedere, poiché conoscevo molte persone che venivano in farmacia e temevo si sentissero a disagio riconoscendomi». Ma col tempo ha capito che l'incontro con l'altro, anche nei momenti difficili, porta con sé una forza straordinaria. «Mi colpisce quante persone abbiano bisogno. E spesso, più che viveri o farmaci, cercano ascolto. Qualcuno che le ascolti e le faccia sentire capite. Non so se aprendosi ritrovano la speranza ma escono con un'espressione più serena, come se avessero trovato la forza di affrontare un altro giorno». Anna ricorda una donna entrata in lacrime per una grave situazione familiare. «Piangeva disperata, l'ho ascoltata e dopo un po' si è calmata. Non voleva delle soluzioni, aveva solo bisogno di sfogarsi, di sapere che qualcuno la stava ascoltando davvero». Secondo Anna, le persone molto spesso non cercano parole, ma uno spazio in cui sentirsi accolte. «Dopo essersi aperte sembrano più libere, come se avessero scaricato un peso. Forse è proprio questo che le aiuta a ritrovare la speranza: non essere sole, essere ascoltate e comprese». Ci sono incontri che restano impressi. Anna ricorda un uomo che aveva sempre avuto un lavoro e una vita dignitosa. «Era a disagio e provava vergogna. Cercavo di fargli capire che nella vita tutto può cambiare, ma non bisogna disperare». Ora non lo vede più e spera che abbia ritrovato stabilità. Quando le si chiede quale messaggio di speranza vorrebbe lasciare, non ha dubbi: «io sono convinta che attraversiamo tutti momenti difficili, ma c'è sempre una luce in fondo. A volte sembra affievolirsi, ma non si spegne mai. Dobbiamo ricordarlo, soprattutto a chi si sente solo. Quella luce ci guarda, ci guida. Ed è proprio la luce della speranza».

Ozieri
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Oltre le sbarre del pregiudizio

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La risalita è un nuovo inizio

Un nuovo inizio

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di Annamaria Sanciu

Michele (nome di fantasia) è un giovane ventenne, con una grande passione per le auto, specie quelle di grossa cilindrata.  Ha trascorso le stagioni estive tra i tavoli di un ristorante nella costa gallurese, sin dai 16 anni, con il desiderio di rendersi finalmente autonomo attraverso l'acquisto di un'auto tutta sua. Il lavoro, il sacrificio e i ritmi frenetici hanno plasmato i suoi sogni che, anno dopo anno, sono cresciuti e maturati con impazienza. Nel giorno del suo ventesimo compleanno gli venne consegnata l'auto che tanto aveva desiderato e, per festeggiare, invitò i suoi amici più stretti ad una cena: tanto cibo, ma anche troppo alcol. Nel rientro verso casa, infatti, venne fermato da una pattuglia dei carabinieri che, insospettiti, gli somministrarono l'alcoltest. Fu la sua condanna: ritiro immediato della patente. I mesi successivi furono tosti, perché la tanto desiderata autonomia per lungo tempo attesa era stata persa in così poco tempo. Venne condannato ai lavori di utilità sociale attraverso la messa alla prova presso la Caritas diocesana di Ozieri, il procedimento che gli ha permesso di incontrare la Caritas e il suo mondo, così da pagare il suo debito con la giustizia. Per Michele è la scoperta di un nuovo mondo. La sorpresa più bella che racconta è quella legata a Sara (nome di fantasia), una giovane con disabilità mentale che ha vissuto con lui l'esperienza di servizio. «Sono stato affiancato a lei - ha detto Michele - per stimolarla nel lavoro ed incoraggiarla quotidianamente». Infatti, per tutta la durata del servizio Michele ha collaborato gomito a gomito con Sara, imparando a conoscerla e a lasciarsi conoscere da lei nella maniera più naturale possibile. Le paure che inizialmente ha manifestato sono andate via via scemando perché erano di ostacolo alla relazione e al servizio stesso. Alla conclusione della sua esperienza, nel ringraziare gli operatori della Caritas diocesana per l'accoglienza non giudicante, l'appoggio e l'accompagnamento che gli è stato riservato, Michele ha sottolineato quanto Sara sia stata fondamentale per il suo percorso: «ho trascorso qui tanto tempo per “riparare” ad un mio errore e ho trovato chi mi ha dato fiducia, aiutandomi a rialzarmi e ad avere un nuovo sguardo sulla mia vita, le mie scelte e le persone che ho accanto». La Caritas di Ozieri fa proprie le parole di Papa Francesco, pronunciate alla prima udienza del Giubileo 2025: «accogliere e abbracciare tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono a cercare un nuovo inizio!».

Sassari
Tempio - Ampurias
Gianfranco e un operatore a lavoro nel laboratorio di falegnameria.jpeg

Gianfranco e un operatore a lavoro nel laboratorio di falegnameria

Insegna dell'ostello maschile della Caritas Diocesana di Sassari-1.jpg

Insegna dell'ostello maschile della Caritas diocesana di Sassari

La rinascita di Gianfranco

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di Lidia Lai

Gianfranco ha 57 anni e da circa un anno vive nell'ostello maschile della Caritas diocesana di Sassari. La sua storia racconta di un uomo che ha incontrato diverse difficoltà e che, nonostante tutto, non hai mai smesso di sperare e di inseguire i suoi sogni. Gianfranco ha sempre lavorato, dapprima nel settore minerario, successivamente nel settore alimentare come addetto alle consegne, fino a quando nel 2013 ha perso il lavoro a causa della crisi economica. Da quel momento in poi, infatti, la sua vita ha preso una piega inaspettata. Alla perdita del lavoro si sussegue anche la fine del suo matrimonio, dal quale erano nati i suoi due figli; oggi hanno 22 e 19 anni. È costretto così a ritornare a casa della mamma e mentre riesce a trovare lavoro come manutentore, in una piccola azienda, prova a coltivare il sogno che ha sempre avuto fin da bambino: diventare un bravo falegname. A casa della mamma costruisce un piccolo laboratorio e inizia a sperimentarsi costruendo taglieri e piccoli gadget come portachiavi; ma, ancora una volta, la vita gli riserva una brutta sorpresa: dopo alcune incomprensioni con la mamma e le sorelle è costretto a lasciare la casa e a trovarsi una stanza in affitto. Nel frattempo non gli viene rinnovato il contratto ed è costretto a rivolgersi ai servizi sociali per la richiesta del Reddito di Cittadinanza. Nei primi mesi del 2024 smette di ricevere il Reddito di Cittadinanza e, avendo alcune mensilità di affitto in arretrato, il padrone di casa gli dà lo sfratto. Approda così in Caritas e viene accolto nell’ostello maschile di Via Galileo Galilei. Nel frattempo riceve il Supporto per la Formazione e il Lavoro, frequenta un corso come manutentore del verde e si rende disponibile per aiutare uno zio nella gestione di un terreno in campagna. Nei primi mesi del 2025 la Caritas diocesana, nella persona del direttore, gli propone di prendere parte ad un corso di falegnameria presso la Cooperativa San Damiano a Sorso, in un centro diurno per disabili. Insieme a Nicola, insegnante del corso, e ai ragazzi che lo frequentano condivide questa grande passione: «voglio continuare ad andare là e stare con loro… Mi sento vivo». Gianfranco continua a sognare in grande e ad immaginare di poter aprire un laboratorio di falegnameria tutto suo in cui coinvolgere anche il suo figlio più piccolo, che ha da poco terminato gli studi come geometra. La sua storia è un esempio di come, anche nei momenti più bui, non si debba mai smettere di sperare.

Il luogo dove tutto inizia, il Centro di Ascolto di Tempio ampurias.jpg

Il luogo dove tutto inizia, il Centro di ascolto
di Tempio

Dipinto di Orazio, esposto nella Caritas di Tempio Ampurias.jpg

Dipinto di Orazio, esposto nella Caritas di Tempio

La rinascita di Orazio

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di Maria Bianco

Orazio arriva alla Caritas di Tempio-Ampurias nel 2024, ma la sua storia ha inizio nel 2005, quando riceve una drammatica sentenza di carcere a vita: un colpo devastante che segna profondamente il suo destino. Nonostante le avversità, Orazio intraprende un lungo cammino di riflessione e di crescita interiore. La sua famiglia, sempre una roccia, diventa un faro luminoso nei momenti più bui. Ricorda con emozione: «mi hanno incoraggiato a non arrendermi, a migliorarmi ogni giorno, a dare il massimo». Lo dice con parole che provengono da chi ha conosciuto il dolore della separazione. Grazie al supporto familiare, Orazio consegue il diploma in discipline artistiche e scopre nella pittura una potente forma di espressione. Le figure di San Paolo e San Gerolamo diventano per lui strumenti di connessione con il mondo esterno e con i propri sentimenti. Quando arriva alla Caritas di Tempio, Orazio si sente subito a casa: «qui mi sono sentito accolto e mi considero fortunato rispetto a chi, dopo anni di carcere, non gode della libertà che ho io». «Oggi sono un uomo nuovo», afferma con un sorriso carico di gratitudine. Ogni giorno, dirigersi verso la Caritas in bicicletta elettrica è per Orazio un'esperienza indescrivibile. «Mi sento come un bambino», racconta entusiasta, e la gioia di pedalare evoca i giorni spensierati della sua infanzia. Ogni volta che il vento gli accarezza il viso, ha la sensazione di essere sulla strada giusta verso la rinascita. Esprime riconoscenza verso Domenico, il direttore, e il dottor Cuccuru, la cui fiducia in lui ha aperto nuove porte. «Ho fatto tesoro di ogni opportunità», continua, sottolineando l'importanza di guardare gli altri con occhi nuovi per rendere il nostro aiuto davvero significativo. Prima della detenzione era conosciuto come “Il biondo”. Oggi, quando gli chiedono chi sia, risponde con fermezza: «sono Orazio». Ha scelto di liberarsi dai pesi del passato e immagina un futuro circondato dalle persone che l'hanno sostenuto. Tempio Pausania, accogliente comunità, è il luogo dove desidera vivere al fianco di sua moglie e dei suoi figli. La testimonianza di Orazio è un esempio di speranza e redenzione, arricchendo chiunque abbia il privilegio di conoscerlo. La sua storia ricorda che il cambiamento è possibile e che anche nel buio la fede ci guida. Conclude dicendo: «non perdete la fiducia nella fede e nella forza dei legami umani».

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