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IMPEGNOCARITAS

NEWSLETTER DELLE CARITAS DIOCESANE DELLA SARDEGNA

N. 8, 20 marzo 2024

Quaresima/Pasqua 2024
“CERCANDO LA LIBERTÀ NEI DESERTI ESISTENZIALI”

Caritas diocesana di ALES-TERRALBA

In cammino verso la rinascita

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di Stefania Pusceddu

Barbara (nome di fantasia) ha affrontato tante difficoltà nella vita, prima di riscoprire la bellezza della libertà. Dopo tanto dolore e tante rinunce ha spezzato le catene che le impedivano di costruire il presente e il domani. Lo ha fatto con le sue forze, facendosi prendere per mano dalla Caritas nel momento più buio, quando tutto sembrava perduto. Nel piccolo paese del Campidano in cui vive, ha cresciuto due figli gemelli, da sola e tra mille fatiche. Il marito, a causa di fragilità e dipendenze, non è mai stato al suo fianco, non ha provveduto ai bisogni della famiglia e alla fine l’ha lasciata. Anche la sua famiglia di origine non le è stata vicino. I rapporti sono molto superficiali e non basati sull’aiuto reciproco. Per un lungo periodo Barbara è stata sola al mondo e ha cercato di badare a se stessa. Da sola ha tentato di dare un futuro ai suoi figli, accettando qualsiasi tipo di lavoro, anche umile, faticoso e sottopagato. Ma i soldi sono stati sempre troppo pochi e sufficienti soltanto per poter mangiare, non per pagare le bollette. È arrivata alla Caritas diocesana impaurita e un po’ imbarazzata. «Mi vergognavo di parlare della mia situazione - ammette -. Purtroppo i lavori sono diventati sempre più precari e rari e per questo fatico persino ad avere 20 euro da spendere. E dopo una vita di sacrifici questo fa male».
Ma in Caritas ha trovato persone che volevano starle vicino, interessarsi alla sua vita e alleggerire il carico di sofferenze portato dentro di sé. «Ho tanti pensieri e tante preoccupazioni - spiega - ma con i volontari Caritas ho parlato tanto fino a sentirmi meglio. Loro mi fanno vedere che c’è sempre una via di uscita dai problemi, anche i più grandi. Per questo non bisogna mai arrendersi». Con un aiuto concreto per pagare le bollette, ma anche con consigli su come affrontare altri pagamenti e con il sostegno dello Sportello orientamento della Caritas, i primi nodi sono stati sciolti. Barbara, dopo tanti dispiaceri, si fa forte con un nuovo coraggio, commossa per i gesti di generosità e affetto. Parlando con i volontari, giorno dopo giorno, comincia nuovamente ad abitare la vita, lasciandosi guidare dalla speranza e dal desiderio di esserne portatrice. Cerca lavoro e non perde nessuna occasione per rendersi un po’ indipendente. Nel frattempo, ha ripreso a sognare: sogna un lavoro più stabile, la serenità per i figli e la possibilità di pagare tutti i debiti. Ora ce la mette tutta, perché sa di non essere più sola.

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Caritas diocesana di ALGHERO-BOSA

Vita vera. La storia di Mario

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di Gabriele Tilloca

Nelle nostre comunità capita spesso di incontrare persone perse nel loro deserto. Aiutarle a sentirsi libere non è mai facile, è vero. Fortunatamente però, in questa strada si incontrano esempi di vita concreti che possono venirci in aiuto. Come nella storia di Mario, un ex detenuto che ora lavora nella mensa della Caritas diocesana di Alghero-Bosa. La sua testimonianza ci insegna quanto sia importante avere la possibilità di essere liberi. Mario non usa mezzi termini: «Non ti liberi di un peso del genere, 30 anni in carcere sono difficili da cancellare. Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi è stata molto vicina. Se non avessi avuto quest’ultima sarei già morto da tempo». E anche nel deserto, a volte, si riesce a trovare conforto: «Pensavo che la mia strada fosse chiusa, invece ho trovato delle persone che mi hanno aiutato e mi hanno dato delle opportunità che altrimenti non avrei avuto».
Mario racconta di quando, nei primi anni duemila, gli venne concesso di uscire per poter correre diverse maratone, tra cui quelle di Venezia, Milano e Roma-Ostia. «Ho trovato anche belle persone nel mio percorso, mi sento di parlare di Agostino, uno psicologo, il primo che mi ha dato l’opportunità di lavorare. Ho lavorato a Platamona, dove abbiamo restituito alla comunità un territorio che ormai era diventato una discarica a cielo aperto». Mario però per poter uscire, avrebbe dovuto necessariamente lavorare in modo stabile, a tempo indeterminato. Caritas è entrata così nella sua vita: «Lavoro in Caritas da circa nove anni grazie a una grande persona. Non c’è voluto molto, quest’ultima ha capito subito la mia condizione e adesso sono qui. Ho conosciuto belle persone e ora posso dire di avere un angolo mio. Ho fatto molte amicizie, oggi sono contento e tranquillo anche grazie a chi mi è stato accanto. Caritas mi ha aiutato molto e io cerco di ricambiare come posso l’aiuto ricevuto». In questi anni, Mario ha trovato una strada, un percorso per uscire dal proprio deserto, senza dimenticarlo, imparando a conviverci. «I primi anni della mia vita sono stati molto difficili. Dopo che hai scontato più di trent’anni dentro il carcere non puoi sentirti libero, non basterebbero altri trent’anni fuori. Però sono tranquillo con me stesso, ora posso rivedere mia figlia, sono diventato nonno, e diventerò nonno di nuovo». La storia di Mario non ha bisogno di essere arricchita o edulcorata. È un esempio di vita vera, dove Caritas ha giocato un ruolo per scrivere un bel finale.

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Caritas diocesana di CAGLIARI

La gioia della libertà che viene dall’incontro con l’altro

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di Maria Chiara Cugusi

Molto più di un semplice servizio: un’esperienza capace di insegnare ad ascoltare gli altri senza pregiudizi, a sentirsi liberi interiormente e impegnarsi nel costruire un futuro migliore. Alice Brundu, 26 anni, ha iniziato il suo Servizio civile nella Caritas di Cagliari lo scorso maggio nell’ambito del progetto “Educare alla solidarietà”.  «Questa esperienza - racconta - sta plasmando profondamente la mia visione del mondo e i miei sogni. Sto imparando l’importanza della solidarietà, della condivisione, del dare senza chiedere nulla in cambio. Entrare in contatto con le storie delle persone aiutate mi sta insegnando a mettermi nei loro panni. E soprattutto ho scoperto il significato della vera libertà: ho capito che essa consiste nell’essere liberi non solo dalle catene materiali, ma anche da quelle mentali e spirituali. Ho imparato ad aprire gli occhi sulla realtà circostante, ad ascoltare i sofferenti e a interrogarmi su come contribuire per dare loro sollievo».
Nell’ambito del Servizio civile, Alice è impegnata in diverse iniziative volte a promuovere il mandato pedagogico della Caritas: le progettualità nelle scuole superiori – tra cui gli incontri sul tema della mobilità umana -, l’attivazione dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento - PCTO (ex alternanza scuola - lavoro) nelle opere-segno Caritas, la formazione negli oratori, tra cui quello di Sant’Eulalia, il supporto al progetto UNICORE – Corridoi universitari per studenti rifugiati che permette a questi ultimi di completare i loro studi nell’Università di Cagliari. «Gli incontri nelle scuole costituiscono un’opportunità per scoprire le storie dei giovani migranti e per apprezzare il contributo che ognuno di loro porta alla nostra comunità. Ciò che mi ha emozionato di più è stata la sensibilità degli studenti nell’ascoltare e accogliere le loro testimonianze, segnate spesso da grandi sofferenze. Vedere altri giovani come me così aperti alla diversità mi ha riempito il cuore di speranza».
Così «ho imparato che l’amore di Dio e del prossimo è un unico amore, che ci chiama a fermarci e a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle. Attraverso questo percorso, sto sperimentando la gioia che viene dall’incontrare l’altro e dall’essere incontrati da Dio. Sto imparando a sentirmi libera di esprimere le mie opinioni, seguire i miei sogni e lottare per un mondo migliore. Spero che la mia esperienza possa essere un invito per tutti coloro, che si sentono prigionieri dei loro pregiudizi, a prendere il coraggio di uscire dalla propria schiavitù e di abbracciare la libertà che Dio ci offre».

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Caritas diocesana di IGLESIAS

Qualcuno su cui poter contare

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di Emanuela Frau

Da diverso tempo Adele (nome di fantasia) si reca periodicamente al Centro di ascolto “Marta e Maria” di Iglesias, dove si sente accolta e capita. Come un fiume in piena racconta la sua storia, fatta di cadute e risalite, relazioni interrotte e incontri con persone cordiali ed empatiche. «Dopo aver perso il lavoro, di cui andavo fiera - racconta -,  le Vincenziane, che conoscevo, mi hanno inviato al Centro di ascolto della Caritas. Avevo bisogno di un aiuto economico per la mia famiglia, ma ho ricevuto molto di più».
Adele si sentiva amareggiata e umiliata perché non era abituata a chiedere denaro bensì a lavorare con dignità. I servizi sociali del Comune non potevano aiutarla a risolvere il suo problema, neanche quando, la scorsa estate, le è stato sospeso il Reddito di cittadinanza. «L’INPS mi aveva inviato un messaggio per avvisarmi che il Reddito di cittadinanza era ormai sospeso ma che la mia situazione sarebbe stata comunque presa in carico dai servizi sociali. E invece l’assistente sociale continua a inviarmi sempre alla Caritas». Adele descrive poi nel dettaglio le patologie che le impediscono di lavorare serenamente. Si è rivolta agli uffici di competenza della ASL che tuttora non le hanno dato nessuna risposta riguardo alla sua domanda di invalidità. «Ogni volta che mi rivolgo a un ufficio pubblico a cui presento le mie richieste non mi sento per niente ascoltata dalle istituzioni! È come se i miei problemi non venissero presi in considerazione. Mi sento umiliata. Nel Centro di ascolto è completamente diverso».
Ci confida che negli ultimi anni, purtroppo, ha dovuto allontanarsi dai familiari con cui ormai non aveva più un buon rapporto; l’ha fatto per ritrovare la serenità perduta da tempo. Ora è sola ma la solitudine non le pesa. L’infanzia problematica ha condizionato il suo percorso di vita. «Mia madre mi diceva sempre di avermi dato delle spalle forti per superare tutto e io adesso ci sto riuscendo, dopo tutto quello che ho passato». Grazie al sostegno degli operatori della Caritas Adele percepisce di aver riacquistato la dignità, che le viene riconosciuta ogni volta che confida loro le sue vicissitudini e bisogni. Spera di potersi ricostruire un futuro altrove. «Voglio andare via da qui, non so ancora dove; non sento più di appartenere alla terra in cui sono nata. Vado via dalla Sardegna ma ora sarò più forte. Anche per questo ringrazio la Caritas che ha aiutato non solo me ma tante persone nel mondo. Oggi so su chi posso contare».

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Caritas diocesana di LANUSEI

Tutto può la carità

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di Augusta Cabras

Cristiana Boi è una delle volontarie della Caritas di Lanusei. È mamma, avvocata e mette a servizio delle persone che incontra la sua straordinaria capacità di mediazione. Una capacità che trae nutrimento dall’accoglienza, dall’ascolto, dallo sguardo amorevole che rivolge alle persone che chiedono aiuto alla Caritas diocesana e a cui lei dedica tempo, pazienza e attenzione.
I volontari nel loro servizio incontrano tanti uomini e donne con problemi diversi: familiari, economici e anche legali. Cristiana offre la sua consulenza con l’obiettivo di mediare tra le parti, di trovare una conciliazione, nel nome della legge e della trasparenza. «Spesso coloro che chiedono aiuto lo fanno per risolvere un problema legale - racconta Cristiana - . Sentirsi accolti, ascoltati e amati, in qualche modo trasforma la vita, al di là della soluzione del problema specifico. Li apre alla fiducia, al riconoscimento di se stessi, alla consapevolezza che devono prendersi cura di sé. Si aprono, e, seppur lentamente, vanno alla radice del loro problema. Ed è importante dare loro il tempo giusto, lasciarli liberi di imparare» spiega la volontaria. I casi accolti e risolti dall’avvocata e dall’équipe Caritas non sono pochi. «Ogni giorno cerco umilmente di percorrere la via della fiducia e dell’amore. Come mamma e come avvocato. Non per ambizione o vanagloria, ma per amare Dio fino a quanto è possibile».
Ed è proprio in Caritas che Cristiana dice di aver trovato il senso profondo della sua professione: impegnarsi per il bene comune. «Serve avere il coraggio di mediare per trovare pace e giustizia e ci vuole pazienza e tempo da dedicare per educare alla legalità, avendo il coraggio di saper dire anche “no, questo non si può fare!”». E chi vive il servizio come Cristiana, si esercita costantemente anche a non farsi sopraffare dalle emozioni, per non perdere la lucidità che è messa a dura prova dalla sofferenza che arriva dalle storie degli altri, dal dolore che penetra nella carne senza chiedere l’autorizzazione. Questo permette di dare un aiuto concreto «consapevoli che chi salva è Dio, solo Lui » precisa la volontaria.
Il Papa ribadisce a più riprese che davanti a tanto dolore e alle tante fragilità del mondo e degli uomini, l’unica via d’uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti o dalla parte di coloro che passano accanto senza avere compassione dell’uomo e del suo dolore. Cristiana, con il suo servizio, condiviso con tutta la Caritas, ha scelto quale via seguire.

 

Caritas diocesana di NUORO

“Dove sei fratello mio”

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a cura della Caritas diocesana di Nuoro

Il focolare domestico è dove ognuno trova il senso della famiglia. Uno spazio protetto in cui cerchiamo riparo, sicurezza, tranquillità. Lì troviamo la serenità. Non è stato così per Mario (nome di fantasia) che in casa ha vissuto solo incomprensioni. I genitori separati, gli studi conclusi a 14 anni con la terza media, un ambiente di paese che non gli ha offerto particolari opportunità. In queste condizioni diventa facile preda del mercato della droga. «Ho cominciato a consumare ma anche spacciare - racconta -, così riuscivo a racimolare il tanto per vivere. Marijuana, cocaina, eroina le avevo gratis perché contemporaneamente le vendevo. La droga mi aiutava a non pensare, anzi mi faceva dimenticare il mio malessere».
Lui vuole allontanarsi da quel mondo. A 16 anni trova un lavoretto precario in un ristorante e due anni dopo si trasferisce nella penisola. La conoscenza di uno chef appare come la svolta. Ma la droga la trova anche lì e nei momenti liberi si riavvicina a quelle sostanze. Cominciano la dipendenza, le conseguenze sulla salute e i primi problemi con la giustizia. «Ho iniziato a non ricordare più le cose – confessa –. In una perquisizione a casa i carabinieri hanno trovato tanta “roba”. Stavo male e ho sentito il bisogno di avvicinarmi al SerT (Servizio per le tossicodipendenze)».
La sua vita sprofonda fra processi e una precarietà esistenziale che non lo aiutano. Se chiunque in famiglia cerca un approdo sicuro, lui invece trova la mazzata definitiva. «Con mio padre non abbiamo mai avuto un buon rapporto». Ed è così che fra una lite e l’altra si arriva alle botte e alla denuncia per maltrattamenti. Mario dai domiciliari passa alla detenzione. Il baratro! Le cure a cui viene sottoposto in carcere lo rendono privo di forze e gli tolgono la normale lucidità. In queste condizioni assiste anche al suicidio di un suo giovane compagno di cella. Uno choc terribile. Alla fine del 2023 “il detenuto Mario” incontra i volontari della Caritas diocesana di Nuoro e finalmente conosce l’ascolto, la comprensione, il sorriso. Arriva la sentenza che lo condanna a due anni e due mesi con affidamento al SerT.
Mario oggi è nella sede della Caritas che, in attesa del trasferimento in comunità, gli ha offerto un alloggio. La storia di questo ragazzo di 25 anni, lascia profondamente scossi: il racconto di una vita segnata, una di quelle storie che, talvolta, si pensa che accadano solo perché lo dice la televisione. Ma che invece accadono a pochi metri da noi e di cui a volte non ci accorgiamo, troppo presi dagli aspetti più superficiali della vita. Storie che, quando vengono ascoltate, ci riportano nella giusta dimensione: da una parte siamo grati per ogni cosa ricevuta e dall’altra chiediamo perdono per non averlo capito prima.

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Caritas diocesana di ORISTANO

C’è sempre una scelta: la storia di Piero

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A cura della Caritas diocesana di Oristano

Piero (nome di fantasia) è un uomo di 48 anni che ha trascorso gran parte della sua vita in carcere. I suoi problemi giudiziari hanno avuto inizio quando ancora era minorenne: «Ero appena un ragazzino e stavo sempre dietro a mio fratello e i suoi amici. Per me erano un modello da imitare e poi, diciamolo, nel mio quartiere era normale quella vita, non c’era nulla di strano».
Piero è originario del Sud Italia e a tredici anni seguiva già il fratello maggiore nel traffico e nello spaccio di droga. A soli sedici anni provò che cosa voleva dire sentirsi privato della sua libertà poiché, in seguito ad una rapina, finì in una struttura per minori. Da allora è stato un susseguirsi di entra-ed-esci in diverse strutture penitenziarie. La sua condanna è stata lunga e Piero ha finito di scontare la sua pena solamente a quarantasei anni.
«Quando sono uscito dal carcere non sapevo dove “sbattere la testa” ma una cosa la sapevo: volevo restare in Sardegna. Con mio padre non ho mai avuto rapporti e nel mio paese non mi restava più nessuno; mia madre era morta già da qualche anno e mio fratello avrebbe dovuto stare in carcere ancora un bel po’. Se in quel momento avessi deciso di tornare al paese, per me sarebbe finita
male, sono sicuro che oggi sarei di nuovo dentro».
Piero, su indicazione del cappellano, il giorno stesso della scarcerazione si è subito rivolto al Centro di ascolto diocesano perché privo di risorse economiche e punti di riferimento. Prima di riuscire a trovare un lavoro sono passati diversi mesi e per lui non è stato facile, soprattutto non ricadere negli errori del passato.  
Racconta di sentirsi molto in debito con suor Elena, una volontaria incontrata tanti anni fa in un carcere della penisola. «Mi ha ascoltato e aiutato a capire che ero ancora in tempo per rendere la mia vita migliore. Grazie a lei ho riscoperto la fede e oggi sento che Dio è con me. Questo mi dà la forza di non guardarmi indietro e di non avere rimpianti per quello che sono stato: non sono solo il male che ho compiuto».
Ciò che infatti rende Piero felice, nonostante la precarietà della sua situazione attuale, è la libertà interiore: «Avrei potuto scegliere la via più facile ma sicuramente non mi sarei sentito come mi sento oggi: non sono ricco ma sento di vivere una vita nuova, infinitamente migliore rispetto all’inganno nel quale ho trascorso la mia gioventù».

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Caritas diocesana di OZIERI

L’incontro tra due donne per costruire un’autentica libertà!

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di Stefania Sanna

La Caritas diocesana di Ozieri ospita da un paio d’anni una piccola famiglia tunisina. Nour e suo figlio Adil hanno attraversato il deserto e poi viaggiato per mare su un barcone, vivendo sulla propria pelle quei viaggi che vediamo al telegiornale ma che in fondo non conosciamo veramente nella loro brutale realtà. Tappa dopo tappa, paura dopo paura, sono arrivati al CAS (Centro di accoglienza straordinario) “Le Grazie” gestito dalla Caritas diocesana attraverso il suo braccio operativo la cooperativa S.P.E.S.. Qui hanno trovato operatori e volontari che li hanno accolti con la delicatezza e la generosità che da anni contraddistingue chi, nella diocesi ozierese, si occupa di accoglienza ed integrazione. Dopo i primi difficili momenti di adattamento ed inserimento, Nour ha iniziato a frequentare con entusiasmo la scuola di alfabetizzazione e sta imparando l’italiano, anche con l’aiuto di Adil, che è iscritto alla prima elementare. «Sono fuggita dal mio paese - racconta Nour - perché ho avuto un marito violento che mi ha maltrattata (ne porta le cicatrici visibili sul corpo, ndr), poi  ho conosciuto un altro uomo che mi ha ingannata e dal quale ho avuto Adil. Sono considerata un disonore per la mia famiglia e sono fuggita perché in pericolo di vita anche a causa dei miei stessi familiari». Storie di cronaca che siamo abituati a leggere sui giornali ma che, quando si materializzano con il bel volto e i capelli ricci di Nour, hanno un impatto diverso. Tra le tante persone che aiutano questa giovane donna c’è Francesca, che lavora da un po’ di tempo in aiuto ai migranti e lo fa unendo la sua professionalità all’essere mamma di un bambino di pochi anni. Due donne che nella loro diversità intrecciano le loro storie e danno testimonianza di come insieme sia possibile lenire gli effetti delle situazioni più acute. Affrontano la quotidianità, a volte anche con discussioni e confronti che cercano di superare le barriere linguistiche, religiose e culturali, e che non sono mai degli ostacoli invalicabili ma occasioni di confronto e crescita. Da poco Francesca ha potuto consegnare a Nour un importante documento, il permesso di soggiorno per protezione internazionale, il quale alleggerisce le paure della donna e le apre la via ad una integrazione concreta e duratura in Italia. Il lavoro di Francesca è la manifestazione autentica di ciò che concretamente, ogni giorno, si presenta agli occhi e al cuore dei volontari della Caritas di Ozieri. Le criticità sono affrontate in un crescendo di generosa accoglienza che rappresenta una risposta reale e concreta a quel richiamo eterno «Dove sei? Dov’è tuo fratello?».

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Caritas diocesana di SASSARI

“Per me è stato possibile”

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di Lidia Lai

Daniele, 60 anni, è entrato in contatto con la Caritas all’interno di un contesto particolare, quello del carcere. È li che, diversi anni fa, ha incontrato le suore del Getsemani - da tutti meglio conosciute come “manzelliane” -  impegnate nel Centro d’ascolto della stessa Caritas all’interno della Casa circondariale di Bancali (Sassari).
Fin dai primi anni della sua reclusione - prima nella sua regione d’origine, il Veneto, poi in Sardegna e poi ancora in Veneto -, Daniele, grazie all’incontro con volontari, educatori e agenti di polizia penitenziaria che hanno creduto in lui, ha intrapreso il suo cammino verso la libertà. Ha acquistato coscienza e consapevolezza dei suoi sbagli, conseguenza di un’infanzia difficile, e ha iniziato un percorso di rinascita che lo ha portato ad essere l’uomo che è oggi.
La prima conquista è stata il permesso premio ottenuto dopo 14 anni di detenzione per ritornare a riabbracciare la sua famiglia, nella sua amata terra, il Veneto. Daniele pensava fosse solo un sogno che non si sarebbe mai potuto realizzare. Ma i desideri se nascono dal cuore e se ci si libera da ciò che per tanto tempo ha negato la libertà, possono realizzarsi davvero, e così è stato per lui.
Ad attenderlo fuori dalla Casa circondariale un volontario della Caritas e le sue care amiche suore che lo hanno accompagnato con la preghiera, un po’ preoccupate per la sua prima uscita e per il viaggio da affrontare. Arrivato in aeroporto, Daniele era emozionato, osservava il via vai delle persone, scrutava i loro volti. Erano libere. In quel momento anche lui era fra queste. Si sentiva libero per la prima volta dopo tanti anni di reclusione: «Arrivato a casa, sono stato accolto dalla mia famiglia - ricorda -  con cui ho condiviso le cose più semplici: stare a tavola, chiacchierare … potermi muovere liberamente è stata la cosa più bella!». In quei giorni, Daniele ha rielaborato il suo vissuto tanto da decidere di incontrare le persone verso le quali aveva sbagliato, per chiedere loro perdono. Gli errori del passato sono diventati per lui occasione di insegnamento per affrontare un nuovo percorso di vita.
Dopo il periodo nella Casa circondariale di Bancali, Daniele è stato trasferito in Veneto, dove sta ancora scontando la sua pena. Qui ha ottenuto la possibilità di trascorrere le giornate fuori dal carcere per lavorare in un’azienda che l’ha assunto. È vicino alla sua famiglia, a sua sorella e alla sua compagna che non l’hanno mai lasciato solo così come tutte le persone che hanno creduto in lui e lo hanno aiutato a riconquistare la dignità di un vero uomo.

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Caritas diocesana di TEMPIO-AMPURIAS

Attraverso il deserto, la storia di redenzione e libertà di Filippo

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di Daniela Astara

Nella Diocesi di Tempio-Ampurias la vita di un uomo, Filippo (nome di fantasia) si è trasformata in un racconto di caduta e redenzione, di perdita e ritrovamento. La sua storia inizia con il tracollo della sua azienda, un avvenimento che ha scosso non solo la sua stabilità economica, ma anche le fondamenta della sua esistenza, portandolo a confrontarsi con le conseguenze più dure della legge: una condanna per bancarotta fraudolenta. Si è sentito perso e, consigliato dal suo avvocato, ha deciso di espiare la pena inflittagli lavorando per gli altri. Ed è proprio nel mezzo di una tempesta che si è aperto un varco di luce, un percorso inaspettato verso la libertà interiore e la riscoperta di sé.
Un cammino che ha preso forma all’interno della Caritas, dove ha avuto la possibilità di scontare la sua condanna. E dove, inaspettatamente, ha trovato una seconda famiglia e una nuova opportunità di futuro. Circondato da storie di vita e da persone che, nonostante le difficoltà, continuano a lottare per un domani migliore, ha scoperto il potere trasformativo della solidarietà e del dono di sé. «Mi sono sentito accolto e non giudicato» racconta Filippo, spiegando i momenti difficili che ha dovuto attraversare dopo il fallimento dell’azienda.
Il messaggio quaresimale del Santo Padre Francesco per il 2024, «Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà», risuona profondamente con la sua esperienza. Attraverso il deserto oscuro della perdita e del fallimento, ha trovato una guida verso una libertà più profonda: quella dall’egoismo, dalla disperazione e dalla solitudine.
La sua vicenda personale è stata anche segnata da un momento di speranza grazie alla Fondazione antiusura Simplicio e Antonio - nata nel 1998 per sostenere principalmente le vittime di usura - che gli ha permesso di salvare la sua casa, finita all’asta dopo il tracollo finanziario. Un gesto di sostegno che ha rappresentato un punto di svolta, permettendogli di mantenere un legame con le proprie radici e di avere un luogo da cui ripartire assieme a sua moglie.
Conclusa la sua pena, Filippo ha già deciso di continuare il suo impegno in Caritas come volontario. «I deserti della vita - dice -, sebbene aridi e spaventosi, sono anche luoghi di passaggio obbligato verso una rinascita. Ci insegnano che la vera libertà non risiede nell’assenza di vincoli, ma nella capacità di trasformare le proprie catene in occasioni di crescita e di servizio».

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